Gelsomina Verde


Mina li conosceva i suoi assassini. E li conosceva perché condivideva con loro lo spazio del quartiere, come accade normalmente a chi nasce e cresce in terra di camorra. Lei aveva fatto scelte diverse, totalmente opposte a quelle dei suoi assassini. Si era anche innamorata di uno di loro. Si chiamava Gennaro e lei, appena ventenne, se n’era invaghita. Poi però aveva scelto di lasciarlo, perché pure lui aveva preso quella strada. E quella strada, a Gelsomina, proprio non piaceva. Ed è proprio quella relazione fugace, finita peraltro molto tempo prima, a essere stata la condanna a morte per questa ragazza solare, affabile, impegnata nel sociale. Gennaro Notturno, il ragazzo di cui si era invaghita, era uno di quelli finiti nel vortice del sistema criminale che, a partire dall’ottobre del 2004, ha inondato di sangue e violenza le strade di Scampia, per quella che è passata alla storia come la prima faida di Secondigliano. La posta in gioco era il controllo degli affari criminali sul territorio, legati in particolare al traffico di droga. Gennaro aveva scelto la parte degli scissionisti. Per questo andava trovato e punito. Tutto questo accadeva quando la storia con Mina era finita da un po’. Ma è proprio in lei che i killer della camorra vedono lo “strumento” migliore per arrivare a Gennaro. Il piano degli uomini dei Di Lauro si mette in moto. Sono convinti che prendersela con Gelsomina li aiuterà a stanare Gennaro. O forse spingerà lei a rivelare dove si trova. l gancio è Pietro Esposito, alias o’ Kojak, per via di quella testa rasata che ricordava l’attore del telefilm. Esposito aveva conosciuto Gelsomina quando era in carcere. La avvicina intorno alle 23.00 di quel maledetto 21 novembre del 2004 e la consegna ai suoi aguzzini, a suo dire senza sapere che l’avrebbero ammazzata. Quello che accadde nei minuti successivi è puro orrore. Nel tentativo di estorcerle informazioni su Gennaro Notturno, Mina venne torturata e seviziata per ore. Ma lei non sapeva dove si trovasse il suo ex. La ritrovarono più tardi, totalmente carbonizzata, a bordo della Fiat 600 acquistata da suo padre con tanti sacrifici. L’autopsia eseguita sul suo povero corpo avrebbe rivelato chiaramente i segni delle sevizie che aveva dovuto subire prima di essere barbaramente assassinata con un colpo alla nuca. Infine, l’ultimo atto di questa terribile barbarie: il cadavere delle ragazza fu rinchiuso in un sacco, caricato sulla sua auto e dato alle fiamme, forse nel vano tentativo di cancellare col fuoco le tracce di quella violenza inenarrabile. Tutto questo mentre le indagini tentavano di dare un volto agli autori di tanta ferocia. Pochi giorni dopo il delitto - il 26 novembre - Pietro Esposito viene arrestato. Afferma di non aver partecipato al massacro e di aver avvicinato Mina inconsapevole delle reali intenzioni dei killer. Decide ben presto di collaborare con la giustizia e fa i nomi degli altri.